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La crisi economica del capitale internazionale, che sta manifestando la sua profondità in questi ultimi anni, ma che origina dai primi anni Settanta come crisi generale di accumulazione, è stata da noi identificata in vari lavori (da oltre quindici anni) come crisi prima strutturale e poi sistemica, e pertanto diversa dalle "normali" crisi in cui si dispiega il modo di produzione capitalistico proprio a partire dalla sua condizione intrinseca di disequilibrio. Indipendentemente dal fatto che la sua profondità si sia evidenziata nelle Borse e nelle pratiche speculative dei grandi sistemi bancari, abbiamo avvisato che non si trattava della classica crisi finanziaria, poiché in tale "normale" situazione non si interrompono i processi internazionali di accumulazione del capitale. Il gioco di Borsa dagli anni Ottanta ad oggi è così divenuto una corsa al massacro sociale: da una parte si "ingrassano" i fondi di investimento leader e i grandi speculatori, dall'altra si trasformano i produttori di materie prime (salariati di piantagioni, contadini, minatori e operai dei Sud del mondo) in miserabili, e i lavoratori del Centro dell'impero in precari e nuovi poveri. In tal modo si trasferisce, inoltre, la possibilità di investimento nell'economia reale nel facile e apparentemente più redditizio collocamento speculativo finanziario, distruggendo volutamente il capitale in eccesso a fini produttivi.